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Chernobyl

La più grande città fantasma al mondo, abbandonata dal 26 aprile 1986 in seguito al più grande disastro nucleare della storia.

Fu per un errore umano che all’1.26 di quella notte saltò in aria il coperchio di uno dei reattori della centrale,  sprigionando 9 tonnellate di scorie radioattive. Ma gli abitanti di Pripyat (45 mila) vennero fatti evacuare solo 36 ore dopo l’esplosione.

Donne , uomini, bambini ed anziani furono costretti a lasciare li tutto quello che avevano.

Gli venne detto che sarebbero potuti tornare dopo qualche giorno. 

Non fu cosi.

35 anni fa

Il 26 Aprile 1986

Avveniva il più grande disastro nucleare della storia.

Fu per un errore umano che all’1.26 di quella notte saltò in aria il coperchio di uno dei reattori della centrale,  sprigionando 9 tonnellate di scorie radioattive. Ma gli abitanti di Pripyat (45 mila) vennero fatti evacuare solo 36 ore dopo l’esplosione.

Donne , uomini, bambini ed anziani furono costretti a lasciare li tutto quello che avevano.

Gli venne detto che sarebbero potuti tornare dopo qualche giorno. 

Non fu cosi.

 

 

 

 

 

Dopo due ore di volo da Milano e quasi 3 ore di macchina dall’areoporto di Kiev arriviamo a Chernobyl.

Per accedere all’area di esclusione, ovvero per entrare nel raggio di 30km dal reattore bisogna superare diversi controlli, posti di blocco, poliziotti e militari.

Dopo i dovuti accertamenti, 

Eccoci.

Siamo oltre il confine.

Niente tute, niente particolari accorgimenti solo una regola “NON TOCCARE NIENTE” e un piccolo Geiger per monitorare il livello di radiazioni lungo il nostro percorso.

L’aria è pulita, ed il limite di 0.3 Sievert (unità di misura degli effetti delle radiazioni sulle cellule) è di poco oltrepassato.

Avvicinandolo al suolo, il nostro rilevatore inizia ad emettere suoni inquietanti e la percentuale sale di oltre 5 punti. 

 

Meglio tornare sul nostro pulmino, in compagnia di Nikolai, la nostra guida di Gammatravel.

Iniziamo a percorre la strada principale: dritta e larga, taglia in due la foresta nella quale si intravedono i primi edifici.

 

siamo frastornati, confusi e indubbiamente un po’ impauriti.

Dai cartelli ai palazzi tutto sa’ di Unione Sovietica.

Ma il tempo è poco e le cose da vedere tante.

per cui eccoci alla nostra prima fermata: l’asilo.

 

Alla scoperta del Duga-3:

il segretissimo radar dell’Unione Sovietica.

Oggi il Duga-3 è un inerme gigante di acciaio alto 150 metri e lungo 900 che giace abbandonato in una delle zone più ostili della Terra.

Dopo aver superato la cittadina di Chernobyl si prosegue verso Pripyat e quindi, all’improvviso, si sterza verso uno dei tanti sentieri laterali che dalla strada principale sprofondano nel cuore della foresta. Nessuna indicazione. 
D’altronde il Duga ufficialmente non esiste.
Ed eccolo lì, che dorme nascosto nelle foreste di Chernobyl e porta via con se i suoi inconfessabili segreti, quelli sulla Guerra Fredda e quelli sulla catastrofe alla Centrale Nucleare.
Da qualche parte nel mondo qualche radioamatore ha giurato di averne sentito il battito a distanza di quasi trent’anni.

 

La verità sulle maschere antigas.

E' facile impressionarsi di fronte alla prima maschera antigas che trovi a Chernobyl.

Tutto d'un tratto ti tornano alla mente le scene di film e documentari, i brividi si fanno sentire lungo la schiena e il respiro si fa corto.

Vorrei dirvi che alla centesima la situazione migliora ma non sarebbe vero. 

Queste macabre distese di maschere sono però una finzione, uno stupido escamotage per impressionare i turisti.
Ma la realtà , in questo caso, è ancora più terribile.
Durante gli anni della Guerra Fredda, ogni edificio pubblico in Unione Sovietica era dotato di maschere antigas poiché i russi temevano un attacco con armi chimiche da parte degli Stati Uniti.
Purtroppo però quando avvenne l'esplosione della centrale nessuno avvisò gli abitanti del reale pericolo.
Il giorno seguente al disastro gli uomini si recarono normalmente al lavoro, le donne a fare la spesa e i bambini giocarono tranquillamente al parco.
Quelle maschere rimasero lì. Chiuse negli scatoloni.

 

La nera eredità di Chernobyl.

Uno degli edifici che mi ha colpito maggiormente durante il mio viaggio a Chernobyl è stato indubbiamente l’ospedale.

Quello che vedete in foto è il reparto maternità.

Camminando tra le culle, lungo i corridoi ormai marciti a causa della intemperie non riuscivo a non pensare a tutti quei bambini innocenti.

Avranno avuto un futuro?

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